Rossella Daverio
5 min readAug 11, 2023

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Voci pop

«I GIOVANI NON SONO VASI DA RIEMPIRE, MA FIACCOLE DA ACCENDERE»

Intervista a Roberto Grigoletto, insegnante di filosofia e storia, già vicesindaco di Treviso

Roberto Grigoletto

La filosofia dello Stato democratico in Luigi Sturzo e Jacques Maritain è il titolo della tesi di laurea di Roberto Grigoletto, discussa presso l’Università di Padova nel 1994. Tutti gli interessi che animano la vita del suo autore vi sono racchiusi: filosofia, storia, politica e popolarismo.

Già vicesindaco della sua città, Treviso, giornalista pubblicista e docente di Filosofia e Storia presso il liceo classico trevigiano «Antonio Canova», Grigoletto ha seguito un percorso esemplare per tenacia e coerenza.

Quando hai cominciato ad appassionarti alla politica?

Molto presto, al liceo. A soli 17 anni sono diventato consigliere di circoscrizione per il Partito Popolare. Più tardi dalla politica in senso stretto sono passato all’associazionismo con il ruolo di presidente dei giovani dell’Azione Cattolica nella diocesi di Treviso.

È stato nel 2008, dopo la nascita del Partito Democratico, che mi è stato proposto di partecipare alle elezioni comunali nelle sue liste. Sono stato eletto consigliere di minoranza perché allora aveva vinto la Lega. Nello stesso periodo ho avuto un ruolo nel partito: sono stato nominato segretario provinciale del PD. Nel 2013 abbiamo vinto le elezioni e sono diventato vicesindaco, ruolo che ho svolto per cinque anni. Nel 2018 sono stato rieletto e poi un anno esatto fa, prima delle elezioni politiche dello scorso settembre, ho lasciato il PD.

Perché?

Per le scelte compiute nella formazione delle liste qui, nella mia regione, liste che non a caso il veneto Massimo Cacciari ha definito «vergognose». Le candidature sono state imposte dall’alto senza alcuna presa in conto del lavoro dei circoli, delle indicazioni trasmesse dai territori e della competenza dei candidati. E infatti il risultato è stato assai deludente, in Veneto come altrove.

Ma il comportamento del 2022 ha rappresentato solo l’ultimo episodio di una tendenza radicata da anni nel Partito Democratico, dove l’area riformista e moderata è stata sempre meno ascoltata e rispettata fino a ridursi a un puro e semplice soprammobile.

Dopo aver lasciato il PD ti sei rifugiato nel cosiddetto Terzo Polo. Come mai?

Prima di tutto perché per me la politica è una passione che non si spegne. E poi perché ho creduto di scorgere delle affinità con quella formazione, che nelle politiche del 2022 aveva ottenuto a Treviso un’ottima percentuale: il 13%. Purtroppo le sue promesse sono state disattese, soprattutto a causa delle intemperanze e dei personalismi dei due fondatori.

A ben guardare c’è un punto comune tra PD e Terzo Polo: entrambi hanno rappresentato fusioni fredde, senza empatia e senza dialogo reale tra le parti. E anche nel secondo caso le divergenze interne hanno condotto a una débâcle elettorale. Nelle comunali trevigiane dello scorso maggio, alle quali mi sono candidato, il Terzo Polo è precipitato dal 13% del 2022 a un misero 4%.

Come valuti, in generale, lo scenario politico attuale?

Oggi la maggioranza mi sembra destinata a resistere soprattutto a causa della debolezza delle opposizioni, che paiono opporsi a se stesse. Aggiungo che la destra al Governo è populista, la sinistra demagogica ed entrambi gli schieramenti campano di propaganda, slogan e ideologia. Non c’è da stupirsi che l’elettorato si disinteressi in maniera crescente alla politica. Proprio per questo ripongo molte speranze in Base Popolare, che credo potrà creare le coordinate di un nuovo centro. Coordinate non solo politiche, ma anche e soprattutto culturali.

Il liceo «Antonio Canova» di Treviso

Tu sei insegnante e la scuola pubblica è certamente una delle priorità irrimandabili di chiunque voglia fare politica in modo serio. Com’è la scuola vista da vicino?

Premetto che del mio lavoro sono contentissimo perché è un mestiere splendido. E penso che la scuola dovrebbe rappresentare per tutti un’opportunità non solo di istruzione, ma anche di educazione nel senso più ampio e profondo del termine.

Non ho mai simpatizzato con il modello tecnocratico delle “tre I” (Internet, inglese, impresa) promosso anni fa da Silvio Berlusconi e dalla sua ministra dell’Istruzione Letizia Moratti. Credo piuttosto nel pensiero attribuito a Plutarco: «Gli studenti non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere». E come li si accende? Con il pensiero, con il civismo, con l’esempio. Lungi dall’essere puri elargitori di nozioni, gli insegnanti rappresentano infatti punti di riferimento e di confronto, cui molto spesso i ragazzi rivolgono domande esistenziali dato che non hanno altri spazi per farlo.

Il nostro compito insomma è di grande responsabilità. Noi dovremmo contribuire alla formazione di donne e uomini liberi in una società che tende invece a fagocitarli. E dovremmo occuparci non solo delle conoscenze, ma anche della sofferenza, della solitudine e dell’insicurezza dei giovani che ci sono affidati e che purtroppo tendono sempre più spesso, per non affrontare la realtà, a chiudersi nella gabbia virtuale dei social media che ne uniformano pensieri e comportamenti.

Infine, un modo per «accendere le fiaccole» è impiegare il loro linguaggio, non imporre il nostro, per esempio utilizzare strumenti nuovi, come i video, i film o i test interattivi. Nei miei corsi, dedico molto spazio agli ultimi settant’anni della nostra storia perché sono essenziali affinché i ragazzi comprendano la nostra epoca, cioè il loro tempo. Parlo così della nascita della democrazia, della prima e seconda Repubblica, dei partiti e della loro crisi, del terrorismo e del caso Moro… E lo faccio con metodi nuovi, che li appassionano davvero.

Cito, per concludere, altri due punti, uno negativo e uno positivo. Il primo è la burocrazia, che sommerge oggi gli insegnanti: troppe ore sono sprecate a compilare scartoffie dalle finalità incerte. Il secondo, positivo, è invece il percorso di orientamento al lavoro che è stato introdotto nelle scuole secondarie. Credo sia importante proprio perché il lavoro è parte profonda dell’identità sociale di ciascuno di noi.

Per tornare a Base Popolare, che cosa ti aspetti dall’incontro di settembre a Marina di Grosseto?

Mi aspetto che si aprano finalmente le porte di una casa nuova, per me e per tanti altri. E questa prospettiva mi entusiasma. Vorrei spiegarne le ragioni con una metafora: finora ho vissuto in case in affitto, adesso ho la sensazione di poter contribuire alla costruzione di una casa veramente nostra.

Qual è il tuo sogno?

Il mio sogno è sempre fare politica, ma una politica diversa da quella che sono stato costretto a fare finora. E, per guardare più lontano, mi piacerebbe che Camilla e Marco, i miei due figli che hanno ora 14 e 10 anni, si appassionassero un giorno anche loro alla politica. Alla politica bella.

Il centro storico di Treviso

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Rossella Daverio

Esperta di comunicazione e people development, ha lavorato a lungo all’estero oltre che in Italia come manager e docente universitaria.