Rossella Daverio
7 min readAug 21, 2023

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Voci pop

«PER CAMBIARE IL MONDO BISOGNA ESSERCI»

Intervista a Vincenzo Arnone, imprenditore di Mangone (Cosenza)

Vincenzo Arnone

Imprenditore calabrese con una bella storia alle spalle e molti progetti futuri, nel corso degli anni Vincenzo Arnone ha saputo affiancare all’aroma dei caffè che produce il gusto spiccato della politica. E usa proprio questa parola per definire il suo interesse per la res publica: «gusto».

Se l’arte della torrefazione l’ha ereditata da suo nonno e da suo padre, la scintilla della passione politica la deve soprattutto a due persone: un amico a lui conterraneo e una donna veneta di grande valore. Quella che disse, con la ferma semplicità che le era propria: «capii che per cambiare il mondo bisognava esserci».

Cominciamo dalla tua azienda, che ha una storia avvincente. Ce la racconti?

Tutto nacque dall’intuizione e dal coraggio di mio nonno Vincenzo, di cui porto con orgoglio il nome. Era in origine un commerciante di carbone, ma dopo la guerra capì che la società stava cambiando e le persone cercavano di riprendere gusto alla vita anche attraverso luoghi e prodotti di qualità. Così settant’anni fa esatti, nel 1953, aprì un piccolo bar in Piazza della Riforma a Cosenza, il «Cimbalino», che ancora esiste. Ma a mio nonno il bar non bastava perché aveva un sogno: offrire ai suoi clienti il caffè più buono possibile sia al banco sia da asporto. Un caffè fresco di tostatura e macinato al momento. Nacque così, annessa al «Cimbalino», la prima torrefazione artigianale calabrese e una delle prime del meridione. Oggi si è ingrandita e ha sede a Dipignano, un borgo nelle Serre Cosentine a 700 metri sul livello del mare, altitudine ideale per un prodotto che soffre il caldo e l’umidità.

La sede di Dipignano di Caffè Arnone

Al nonno subentrò poi mio padre Gaetano, che è un artista in tutti i sensi e seppe trasmettere la sua arte ai nostri caffè. Si concentrò infatti con scrupolo meticoloso sulla storia e la qualità delle miscele, sul loro equilibrio e sulla loro stabilità. Noi compriamo infatti la materia prima dai cosiddetti “crudisti” e ognuna delle nostre miscele include 10–12 tipi diversi di caffè.

Quanto a me, mi sono laureato in economia aziendale presso l’Università della Calabria ma poi ho imparato tutto sul terreno, appunto da mio padre. Da quando sono entrato in azienda ho cercato di innovare ancora, in particolare con la creazione dei nuovi caffè gourmet, aromatizzati al peperoncino, alla liquerizia e all’anice. Tutti prodotti puri, senza aromi né essenze, e tutti calabresi dato che vogliamo associare il Caffè Arnone al suo territorio d’origine. Sono molto fiero, per esempio, che sul web la variante alla liquerizia, che è quella che ha maggior successo fuori della nostra regione, sia definita «il caffè calabrese» per antonomasia.

Oggi abbiamo introdotto un impianto produttivo 4.0, ma preserviamo l’assoluta artigianalità della tostatura, che, come ai tempi di mio nonno, è fatta con legname esclusivamente di quercia e seguita da un maestro tostatore, che sa gestire attimo dopo attimo l’evoluzione del calore generato dalla legna. Uno dei nostri valori prioritari è infatti associare sempre innovazione e tradizione, convinti come siamo che siano i due volti della stessa medaglia. La tradizione, in fondo, è un’innovazione ben riuscita.

Il quadro di un artista calabrese, oggi residente a Padova, che illustra i tre caffè gourmet: peperoncino, anice e liquerizia

Passiamo alla politica. Da dove nasce il tuo interesse per la cosa pubblica in generale e per il popolarismo in particolare?

Ho avuto per anni un’intensa vita associativa e tuttora sono parte della Fondazione per la Sussidiarietà, che dialoga ogni giorno con oltre settemila persone, per citare la sola Calabria, attraverso la sua rassegna stampa. È durante la pandemia, quando fummo lasciati completamente soli con i nostri problemi, che mi resi conto della necessità di un impegno diverso.

In quel periodo un amico mi disse: «Vedi, puoi non occuparti di politica, ma la politica si occupa di te». Quella frase fu il primo passo…

Iniziai allora a studiare il popolarismo, uno dei pensieri più affascinanti che io abbia mai incontrato. Mi imbattei in una seconda frase che divenne importante per me, pronunciata da Tina Anselmi. Parlando di sé stessa e della sua scelta di arruolarsi come staffetta partigiana, la prima ministra donna della storia italiana aveva scritto: «Capii allora che per cambiare il mondo bisognava esserci».

Questi due stimoli successivi mi spinsero, nel gennaio 2021, a collegarmi a una conferenza online dei Popolari in Rete e poi, nel marzo dello stesso anno, a partecipare alla loro riunione costitutiva. Decisi quindi di impegnarmi personalmente, prima di tutto candidandomi nel settembre 2021 alle elezioni comunali del paesino dove vivo, Mangone, a sud di Cosenza verso la Sila. Non vinsi, ma fu un’esperienza utile e formativa. Poi proseguii promuovendo la nascita, nel novembre 2022, di Popolari in Rete Calabria. Sono contento del risultato perché si tratta oggi di un gruppo quanto mai variegato di una sessantina di persone — ci sono imprenditori, sindaci, amministratori locali, insegnanti, studenti — che si ritrovano per discutere, soprattutto delle problematiche locali. E lo fanno volentieri perché hanno trovato un luogo di confronto in un momento storico in cui i luoghi di confronto non esistono quasi più.

Tina Anselmi

A questo proposito, come vedi la politica attuale in generale?

La vedo distante dai territori e dalle persone. Dei territori non si occupa nessuno e la gente è vista solo come un bacino di voti da partiti malati di protagonismo. Questo è vero soprattutto per i giovani, che vengono “usati”. Me ne sono accorto quando mi sono candidato alle comunali e i ragazzi erano impiegati solo come “riempi-lista”. Lo stesso discorso strumentale vale per le donne.

Non c’è poi da stupirsi se tra i cittadini cresce un sentimento di delusione e diffidenza verso la politica.

È vero anche in Calabria, una terra bellissima e difficile?

Lo è tanto più in Calabria, dove al disagio generale si unisce la particolare evoluzione storica e antropologica di questo territorio. La Calabria è composta da una moltitudine di piccoli Comuni, nei quali le famiglie storiche determinano sindaco e giunta. E poi c’è la Regione, corteggiata da tutti perché gestisce i fondi pubblici di maggior rilievo. Ogni Comune quindi si lega a un consigliere regionale semplicemente per finanziare i suoi progetti. Sinistra e destra si alternano periodicamente, ma il modello è sempre lo stesso. «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».

Quanto alle persone, diffidano delle istituzioni ma le rincorrono, in un ambiente in cui la politica non è pensiero ma relazione. Per essere concreti, qui, come in altre regioni del Sud, se devi andare in ospedale, cerchi il politico che ti garantisca un posto letto. Corrado Alvaro, nato in Aspromonte, scrisse: «Il meridionale ha desiderio del potere poiché, non conoscendo una libera società, dipende in tutto dai potenti e allora desidera il potere, qualunque esso sia». D’altra parte, quando lo Stato è assente ognuno trova soluzioni personali per sopravvivere.

Come trasformare un quadro così radicato da lungo tempo?

Credo ci vogliano costruttori e seminatori, che si dedichino con umiltà a una paziente opera di restauro basata sul dialogo e sui rapporti umani. Parlo di restauro e non di rivoluzione volutamente: ogni intervento troppo vistoso verrebbe bloccato sul nascere.

Per me le parole-chiave di tale opera di trasformazione sono due. La prima è coerenza, perché solo un agire coerente garantisce credibilità. La seconda, ancora più importante, è fiducia. Bisogna fidarsi degli altri, soprattutto dei giovani. I ragazzi di oggi sono figli del loro tempo, sanno comprenderne le difficoltà e le ambiguità, sono migliori di quel che crediamo e sapranno trovare la strada.

Quale missione e quali priorità auspichi per Base Popolare?

Mi auguro innanzi tutto che Base Popolare sappia rilanciare il gusto della politica e che esso possa diventare contagioso.

Poi auspico che valorizzi i territori, oggi negletti. Tutto, a destra come a sinistra, viene deciso a Roma, compresi i candidati alle elezioni locali. Facciamo un esempio recente. Adesso si parla in continuazione di ponte sullo Stretto tra addetti ai lavori, favorevoli o contrari. Ma qualcuno ha mai pensato di chiedere agli abitanti di Reggio Calabria e di Messina che cosa ne pensino? Credo di no. Peccato. A me piace ricordare quel che scrisse il grande studioso Giorgio Ceriani Sebregondi. Lui si riferiva alle sue esperienze in Africa, ma il monito è quanto mai appropriato anche per noi: «Solo con una volontà locale è possibile il cambiamento».

Quanto alle priorità concrete, credo siano le due maggiori povertà con cui dobbiamo confrontarci. La prima è la povertà educativa. L’Italia è uno dei Paesi europei con il grado più elevato di analfabetismo funzionale, che secondo le ultime ricerche arriva al 28% della popolazione. Il che è drammatico per la società e per la democrazia perché nessuno nasce protagonista del proprio destino. Diventarlo è un’educazione.

La seconda è la povertà economica, dovuta a lavoro assente o male retribuito. Le piccole e medie imprese, colonna vertebrale della nostra economia, potrebbero dare un contributo importante, se solo qualcuno se ne occupasse.

Che cosa ti aspetti in particolare dall’incontro che sarà organizzato in settembre a Marina di Grosseto?

Mi aspetto un confronto che sappia vincere lo scetticismo e proponga un processo concreto, una strada da percorrere insieme.

E mi aspetto anche una visione ampia, che dia spazio ai territori e abbia la forza di sollecitare il contributo di tutti, risvegliando il cuore delle persone.

Qual è il tuo sogno?

Sogno di vivere un una terra normale. Un luogo dove ciascuno possa contribuire al bene comune facendo, semplicemente, il proprio dovere.

Sogno un mondo più libero e più pacificato.

Mangone (Cosenza)

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Rossella Daverio

Esperta di comunicazione e people development, ha lavorato a lungo all’estero oltre che in Italia come manager e docente universitaria.