Rossella Daverio
6 min readAug 6, 2023

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Voci pop

STORIE DI TERRA E DI CUORE

Intervista a Luciana Mandarino, innovatrice agricola e sociale di Nocera Inferiore (Salerno)

L’antica locuzione nomen omen — un nome, un destino — calza come un guanto a Luciana Mandarino. Il profumato agrume che le fa da cognome esprime con pertinenza la sua passione per la terra e per i frutti che sa offrirci quando la si ama. Una passione analoga di Luciana è quella per la politica. E da questa cominciamo.

Qual è il percorso che ti ha condotta a interessarti oggi a Base Popolare?

È iniziato nel 2007–2008 con il PD, partito di cui sono stata tra i fondatori in Campania. Decidemmo all’epoca di formare un gruppo di giovani innovatori che si riconoscevano nell’esperienza di Gino Nicolais ed Enrico Letta. Non avevamo una grande esperienza politica, ma ci appassionammo e ci divertimmo moltissimo.

Cito solo un episodio tra i tanti. In occasione di una tornata elettorale, chiudemmo le nostre liste all’ultimo momento e ci precipitammo verso Santa Brigida a Napoli, dove c’era allora la sede della Margherita. Sulla porta trovammo Ciriaco De Mita. E io gli dissi: «Preside’, mi spiace dover spostare la storia, ma se non ci fa passare non consegneremo in tempo la lista Nicolais…». Lui si spostò e replicò: «Muovetevi perché abbiamo bisogno di liste serie».

E poi? Perché hai lasciato il Partito Democratico?

Nella prima riunione che si tenne al Nazareno ci rendemmo subito conto che quella era una specie di “fusione a freddo”, senza capacità di fare squadra. I DS erano dominanti, avevano scelto il segretario e non mostravano alcuna volontà di dialogo con le altre componenti del partito.

L’obiettivo primario di quasi tutti era ottenere un ruolo nelle istituzioni. Di conseguenza si crearono subito quelle che non definisco tanto correnti quanto “lobby di scontro”, che poi si estesero a macchia d’olio anche nei territori. La cosa divenne evidente in occasione delle elezioni politiche, in cui i nomi più nuovi e giovani che avevamo proposto furono oggetto di veto.

Io mi disamorai presto e con me tanti altri. Compresi che la mia visione della politica era assai diversa: credo che battersi per avere un “posto a Roma” sia sbagliato e inattuale, poiché la vera politica parte dai territori e si fa sui territori, con gli imprenditori, i giovani, il terzo settore, gli innovatori. Ho quindi abbandonato la strada intrapresa e mi sono ritrovata, come molti moderati, a non avere più una casa.

Sei stata quindi “senza casa” per molti anni?

No, perché la politica si può fare in molti modi. In quello stesso periodo conobbi diversi sacerdoti anticamorra, che, nel Casertano così come nelle periferie napoletane di Scampia, Barra o Ponticelli, si battevano e si battono per il riscatto sociale riempiendo il vuoto lasciato dalle istituzioni, che sono sempre le grandi assenti.

Nel Casertano in particolare tale riscatto aveva preso forme singolari perché avveniva attraverso l’agricoltura. Nei terreni confiscati alla criminalità organizzata erano state costituite cooperative agricole del terzo settore dove molti ragazzi si erano messi a lavorare la terra, con pochi fondi, parecchie difficoltà, ma un ancor più grande entusiasmo e una buona dose di creatività. Io mi interessavo già al mondo agricolo grazie a mio padre, che è un chimico agro-alimentare. Così mi misi a collaborare con loro. Questi ragazzi mi hanno permesso di crescere e… mi hanno insegnato la vita.

Ho realizzato grazie a loro quanto l’agricoltura rappresenti sia un settore ideale per l’inserimento dei più fragili, sia un vettore di crescita economica e sociale per tutti. Basti dire che oggi nel solo Casertano ci sono tra sessanta e settanta cooperative del terzo settore, che i politici proprio non conoscono e che rappresentano vere e proprie eccellenze agro-alimentari. E poi ci siamo noi, cioè l’associazione «La forza del silenzio».

Basilico prodotto da una cooperativa campana di giovani

Che cos’è questa associazione?

«La forza del silenzio» si occupa da anni di autismo, con una varietà di iniziative. La battaglia in cui sono direttamente coinvolta è dimostrare che i ragazzi affetti da questo disturbo, così come da altre disabilità, possono inserirsi perfettamente nel mondo del lavoro attraverso attività di tipo agro-alimentare. Lo abbiamo provato concretamente attraverso corsi di formazione dedicati alla produzione di pane, di pizza e di pasticceria. Più di recente abbiamo anche creato «Farinò», un progetto di cibi senza glutine che vendiamo con successo al settore privato, ancora una volta senza alcun sostegno da parte delle istituzioni.

Ora stiamo per istituire una scuola di formazione permanente in un bene confiscato alla camorra nell’Agro nocerino-sarnese. Sarà interamente dedicata al pane e alla pizza, anche perché si tratta delle due specializzazioni più richieste. Oggi quasi tutti i grandi ristoranti cercano di produrli internamente e hanno quindi bisogno di panificatori e pizzaioli.

Nello scorso marzo, per inciso, un gruppo di associazioni e cooperative — tra cui «La forza del silenzio» — ha ricevuto la visita del presidente Mattarella, il quale si è incontrato con noi presso un ristorante-pizzeria di Casal di Principe che si trova in una villa sequestrata a uno dei killer del clan dei casalesi e si chiama NCO. Una volta questa sigla significava «Nuova Camorra Organizzata». Oggi invece vuol dire «Nuova Cucina Organizzata». E il cambiamento di significato dell’acronimo mi sembra un segnale quanto mai positivo.

In sostanza, la nostra esperienza di declinazione sociale del settore agro-alimentare dimostra che tutti — siano essi persone disabili o nate in luoghi sfortunati — possono migliorare continuamente, lavorare e inserirsi nella società grazie a coraggio, fatica e innovazione.

Luciana al lavoro in cucina con uno dei ragazzi della «Forza del silenzio»

Innovazione è una parola che ricorre molto nelle tue frasi. Che cos’è per te l’innovazione e perché la consideri fondamentale?

L’innovazione è il mio lavoro. Ho creato a Nocera Inferiore una società che opera nel campo dell’innovazione agricola e si chiama «Studio MAD», cioè “matto” in inglese. Un nome che credo sia tutto un programma.

Il nostro obiettivo è, partendo dalla tradizione, sperimentare l’innovazione dei prodotti agro-alimentari. Per citare un solo esempio, in affiancamento a una start up costituita da un armatore e da uno chef, abbiamo ideato i “salumi del mare”, cioè i primi insaccati di pesce.

A parte questa, che è una spiegazione specifica del mio interesse per l’innovazione, vorrei darne una più ampia, racchiusa in una domanda: che cosa sarebbero l’Italia e il mondo se non ci fosse stato Leonardo da Vinci?

Per tornare alla politica, in questo momento ti stai accostando a Base Popolare. Perché?

Pochi anni fa, nel 2020, ho partecipato a una riunione in un albergo di Napoli nella quale sono intervenuti, tra gli altri, Ciriaco e Giuseppe De Mita. Si presentava la prima idea in nuce di questa associazione, che allora si chiamava Prospettiva Popolare. Dopo averli ascoltati ho preso anch’io la parola e mi sono ritrovata a dire al microfono, semplicemente, «Che bello! Sono tornata a casa».

La risposta è tutta qui: il popolarismo è casa mia. E oggi vorrei contribuire a creare una nuova visione della politica, che riassumerei in una parola: umanesimo. Il ruolo dei popolari è sempre stato quello di ispirare e praticare una politica umanistica, che nello scenario attuale manca.

Qual è il tuo sogno?

Vedere tutta la mia brigata di ragazzi insieme in una cucina — possibilmente una grande cucina confiscata alla camorra —, insegnare loro un mestiere e inserirli con successo nel mondo del lavoro.

Ciriaco De Mita con Giuseppe De Mita, Gennaro Salzano e Francescomaria Tuccillo nella riunione napoletana del 2020 citata da Luciana

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Rossella Daverio

Esperta di comunicazione e people development, ha lavorato a lungo all’estero oltre che in Italia come manager e docente universitaria.